Festival del Podcasting 2023: intervista a Giulio Gaudiano

 

A cosa è dovuto il successo del podcast? E come si è evoluta negli ultimi anni la comunità di podcaster in Italia? Quale impatto avrà l’intelligenza artificiale su questo mezzo di comunicazione? In questa intervista Giulio Gaudiano, presidente di Assipod e fondatore nel 2016 del Festival del Podcasting, approfondisce alcune tematiche e tendenze del mondo del podcast.

Perché hai voluto realizzare un festival dedicato al podcasting?

Il Festival del podcasting nasce nel 2016 come una chiamata on line tra amici perché all’epoca tutti i podcaster italiani, o la maggior parte, si conoscevano, da quanto eravamo pochi. A un certo punto ho maturato il desiderio di incontrare tutte quelle voci che ascoltavo attraverso il podcast on demand, ed è così che è stato organizzato il primo Festival del podcasting, che consisteva in una settimana di interviste con i podcaster che in quel momento pubblicavano in italiano; tuttavia, lo scenario era talmente underground che alcuni di questi podcaster, messi davanti all’invito al festival, sono andati a cercare il significato della parola “podcast”, perché neanche loro si rendevano conto che stavano facendo un podcast. Durante una diretta, uno di loro mi confessò di essere un agente di polizia che per rilassarsi quando tornava a casa prendeva il suo microfono e registrava su schedina SD la lettura di poesie o romanzi che poi ripubblicava su Spreaker. Semplicemente non aveva proprio focalizzato che quello che stava facendo era in realtà un atto pionieristico di podcasting.

Come è iniziata questa ottava edizione del festival del podcasting e cosa dobbiamo aspettarci?

Il Festival è cresciuto di anno in anno pari passo con la crescita del podcasting. Già nel 2016 quando abbiamo iniziato, dicevamo: “Il podcasting continua a crescere”, ma non avevamo idea del vero significato di quella parola perché solo quando il podcast è stato adottato dalle piattaforme di streaming, è diventato un fenomeno di massa. Crescendo di anno in anno il festival, è cresciuto anche il numero dei partecipanti ed è cresciuta anche l’offerta che il festival porta ogni anno, insieme a un chiarimento sempre maggiore del reale valore dell’organizzare un festival che è la connessione tra i partecipanti.

Quest’anno il Festival del podcasting è composto da tre elementi: il primo elemento è l’incontro a Milano il 30 settembre preceduto da un aperitivo di networking il giorno 29, perché questa giornata conclusiva del festival è focalizzata sull’ispirazione che, tra tavole rotonde e performance dal vivo, consente la condivisione di esperienze concrete e professionali di persone che lavorano in questa industry, riferimenti a cui potersi ispirare. Il secondo elemento è rappresentato dai cinque giorni, dal 25 al 29 settembre, ed è la formazione offerta dalla possibilità di accedere a sessioni di approfondimento on line su verticali tematiche: un giorno dedicato ai contenuti e alla creatività, un giorno dedicato alla produzione, alla voce e al sound design, un giorno dedicato alla distribuzione attraverso le piattaforme e al marketing, un giorno dedicato alla monetizzazione e alla pubblicità, e l’ultimo giorno dedicato al branded podcast. Il terzo elemento è la connessione.

Quest’anno il festival è durato un mese intero perché abbiamo organizzato degli eventi locali su tutto il territorio che permettessero alle specifiche community di podcaster di incontrarsi o addirittura che consentissero l’incontro con il podcast di community che non conoscevano questo strumento. L’evento più bello a cui ho partecipato personalmente è stato l’incontro chiamato “Nei libri noi” organizzato dal coordinatore di un circolo di lettura della Biblioteca Europea, che ha partecipato a un corso di podcasting offerto da Assipod e ha proposto ad alcuni componenti ultrasettantenni del circolo di lettura di creare un podcast, raccontando in che modo i libri letti avessero avuto un’influenza nelle loro vite. Da questo esperimento assolutamente incredibile, perché tutte queste signore si sono lasciate guidare con fiducia da lui nella realizzazione di un podcast, abbiamo poi organizzato un evento che ha coinvolto tutti i circoli di lettura di Roma. Questa è l’idea che sta dietro gli eventi locali: coinvolgere persone ch ceino connessioni tra loro e sviluppino progetti che hanno il podcast nel cuore.

secondo te Qual è il segreto del successo dei podcast?

Secondo me la chiave del successo del podcast è nel suo essere libero. Libero da qualsiasi regola editoriale applicata finora ai media tradizionali: non c’è un formato giusto, non c’è una lunghezza giusta, non c’è bisogno del patentino o della registrazione a un ordine professionale per fare podcast e non c’è bisogno di grandi investimenti o grandi attrezzature. Io stesso per anni ho fatto podcast registrando con il microfono interno del computer o con gli auricolari.

Il podcast è libero anche perché libera non solo chi lo fa, ma anche chi lo ascolta; lo libera dalla schiavitù dello schermo. Dobbiamo riconoscere che trascorriamo quasi tutta la giornata davanti a uno schermo, che sia del computer o dello smartphone. Schermi che forniscono un’immagine della realtà e delle cose che raccontano, mentre il podcast lascia libero l’ascoltatore perché lo stimola con delle parole, ma poi le immagini ce le mette l’ascoltatore attraverso la sua esperienza di vita, attraverso le cose che ha visto o che immagina attraverso la propria creatività.

In Italia come si è evoluta la comunità di podcaster?

Si è evoluta verso la professionalizzazione. Una volta il podcaster era la persona che faceva un altro lavoro nella vita, ma utilizzava questo canale per parlare delle proprie esperienze professionali come ho fatto io con il podcast Strategia Digitale oppure parlava di altro, facendolo diventare un hobby, un diversivo rispetto alla propria quotidianità: questo è stato il caso di molti podcaster.

In questi ultimi otto anni, la figura del podcaster si è professionalizzata in concomitanza con l’adozione da parte di grandi piattaforme; lo stesso team di produzione è cresciuto, se prima il podcast si faceva da soli, oggi sembra che se non sei almeno in dieci a farlo, quello stesso podcast è di scarso valore. Oggi sono nati i podcaster di professione, ossia persone che fanno podcast per lavoro.

Sono aumentate le case di produzione di podcast in Italia? Se sì, i podcaster indipendenti hanno più difficoltà nell’emergere?

Da una parte sono aumentate le case di produzione perché molti, soprattutto provenienti dal mondo della radio e della televisione, di solito autori, hanno iniziato a fare podcast; prima li ascoltavano, poi hanno iniziato a sperimentare, poi hanno creato una casa di produzione. E questo è il caso, per esempio, di Storie Libere fondato da Rossana Di Michele, che ha lavorato in radio e come autrice, oppure il caso di Piano B di Carlo Annese, giornalista che dopo aver creato dei podcast ha creato una casa di produzione di podcast giornalistici e che poi ha fatto anche dei bellissimi prodotti branded.

Quindi sono aumentate tantissimo le case di produzione ed è emerso, e questo mi rende molto felice, anche un panorama di piccole case di produzione che non hanno gettato la spugna davanti all’emergere di grandi case di produzione, anzi direi di fronte a un’unica grande casa di produzione che è Chora Media, un gigante nel industry, che non è però riuscita a schiacciare le realtà più piccole che hanno poi creato ottimi prodotti e un proprio parco clienti.

Il tema dei piccoli podcaster che fanno fatica a emergere, invece, è legato al modo in cui le persone scoprono i podcast, la cosiddetta Discoverability, perché la maggior parte di persone che ascoltano podcast, li ascolta sulle piattaforme, nonostante i podcast siano nati senza: basta, infatti, avere il feed RSS, metterlo nel tuo smartphone o computer e ascoltare il podcast senza nessuna piattaforma che faccia da intermediario. Tuttavia sono le piattaforme che hanno fatto scoprire il podcast alla maggior parte delle persone e che oggi fanno da mediatrici nella scoperta di questi podcast.

Negli ultimi anni è stato sicuramente più difficile per i più piccoli emergere, perché se vado su Spotify a pubblicare il mio podcast, e su Spotify le persone trovano podcast Spotify original o esclusive a Spotify pubblicizzati, il mio podcast non lo intercetteranno mai. Mentre prima i podcast, anche quelli molto piccoli, venivano comunque scoperti: c’era meno offerta e l’utente faceva ricerche per parole chiave o guardava le classifiche per categoria, e quindi trovava anche i podcast più di nicchia.

Questa tendenza ora andrà smussandosi per tutta una serie di cambi nelle scelte strategiche che sono state fatte sia da Spotify che da Amazon Music. E poi c’è YouTube che è entrato nel settore a gamba tesa con l’intenzione di riguadagnare un treno che si era perduto, che è quello dei podcast,  e che nei prossimi mesi diventerà una piattaforma competitiva per fare podcasting. Tutte le altre piattaforme hanno capito che non vale la pena fare gli editori e quindi hanno sì comprato delle case di produzione (Amazon Music e Spotify) e dei grandi podcast, ma ora stanno investendo molto di meno sull’acquisto o sulla produzione di prodotti editoriali originali, quindi stanno seguendo meno l’esempio di Spotify e stanno andando più nella direzione di YouTube, puntando al potenzianziamento della piattaforma e alle opportunità che la piattaforma può offrire ai piccoli produttori di contenuti, sia in termini di guadagno economico sia in termini di scoperta da parte di nuovi ascoltatori.

Secondo te cosa manca al podcast per raggiungere una platea ancora più vasta?

Sarebbe necessario fare un ulteriore passo di liberazione rispetto all’hardware. Il podcast nasce come “ascoltabile” su computer; ricordo quando eravamo felicissimi di prendere iTunes, cercare il podcast, abbonarci, connettere il lettore mp3, fare la sincronizzazione e a quel punto passare all’ascolto Sembrava comodissimo e invece, detto ora, fa quasi paura. Poi è arrivato lo smartphone e la possibilità di utilizzare la rete dati. Ma lo smartphone è ancora un passo intermedio, nel senso che a casa abbiamo dispositivi, come la televisione o la radio, che sono one click, cioè che accendi e trovi subito quello che vuoi ascoltare. L’ideale sarebbe convincere i produttori di radio o di dispositivi per ascoltare contenuti digitali audio di implementare il podcast come una funzionalità di base, in modo che sia molto semplice poterlo ascoltare. Ad oggi su questo fronte c’è Amazon che ha fatto tanto con Alexa ed è passato dalla necessità di sviluppare una skill dedicata per ascoltare i podcast su Alexa, alla possibilità di ascoltare qualsiasi podcast attraverso Amazon Music.

D’altronde, la domanda più frequente che fanno le persone che ascoltano podcast per la prima volta e li apprezzano è: “Ma come faccio io ora ad ascoltarli?” E ancora devi rispondre: scarica Spotify, oppure scarica un’app. Il processo è ancora in qualche modo macchinoso.

Una bella iniziativa è quella di Podcast Index, cioè la piattaforma aperta creata da Adam Curry, l’inventore del podcasting che qualche anno fa, quindi all’approssimarsi dei vent’anni dalla nascita del podcast, ha dichiarato: “Creiamo una piattaforma web, aperta, libera per tutti, dove si possa in un secondo, semplicemente mettendo un feed RSS e niente più, senza firmare chissà quali accordi, pubblicare il proprio podcast e dove si possa direttamente ascoltarlo”. Non è un caso, infatti, che nel Festival del Podcasting tutti i podcast segnalati vengano rimandati a Podcast Index.

Secondo me questa è la direzione giusta, cioè che per la vera interoperabilità è importante che ci siano degli standard, ce lo insegna l’Unione Europea che ha imposto ad Apple di adattare il cavo del proprio iPhone nuovo come USB-C, cioè rispettando standard al quale centinaia di persone hanno lavorato nel tempo. Ecco, lo standard per i podcast è uno standard aperto, quando tutti avranno compreso questa cosa, comprese le realtà editoriali più grandi (Radio 2 lo ha già fatto rendere i propri podcast anche disponibili via RSS), sarà più facile implementare i podcast automaticamente nelle autoradio e dentro le Smart TV, senza dover passare attraverso le piattaforme per ascoltarli.

Quale sarà l’impatto dell’intelligenza artificiale sul podcast?

Sarà enorme. Nell’ambito di uno degli eventi locali organizzati, ho tenuto una masterclass sull’utilizzo di strumenti di intelligenza artificiale per fare podcast. Durante la classe ho diviso i quattro ambiti del podcasting: la parte di creazione dei contenuti, la parte di montaggio e post-produzione, la parte di marketing, la parte di distribuzione. E in ognuno di questi ambiti le persone che hanno partecipato alla masterclass rimanevano a bocca aperta nello sperimentare l’utilizzo dell’IA sui podcast.

Oggi molti podcaster utilizzano l’IA, e anche durante il Festival del podcasting, si parlerà di questo. Sabato 30 settembre, Federico Favot ed Edoardo Scognamiglio spiegheranno come con l’intelligenza artificiale si possa fare molto più velocemente ed efficacemente un lavoro creativo che diversamente richiederebbe molto più tempo per essere fatto. Questo impatto, tuttavia, non andrà a diminuire la creatività umana, non sbiadirà la qualità dei contenuti. L’intelligenza artificiale deve essere vista solo come uno strumento (più potente) in mano ai podcaster.