Fabiana Sera su Clubhouse: “Un’enorme opportunità per le aziende”

Intervista a Fabiana Sera, podcaster, doppiatrice, e tanto altro, sulle potenzialità di questo social, capace di proposte interessanti e di alto livello

Se Clubhouse è una piattaforma che si basa sui podcast e, quindi, sulle voci, chi meglio di un doppiatore può farci capire di che social si tratta? Per la nostra terza intervista relativa al mondo di Clubhouse ci siamo dunque rivolti a Fabiana Sera che, oltre a doppiare personaggi di cartoni animati e serie tv, è anche una speaker radiofonica, un’attrice, una podcaster e una diction coach. Insomma, si tratta senza dubbio di una voce autorevole che ha un’idea molto chiara di ciò che possiamo aspettarci da questa nuova app.

Quale è l’approccio che Clubhouse ha nel panorama dei social networks?

Clubhouse è andato a riempire un buco della comunicazione. All’inizio del 1900 c’è stato un signore armeno, di nome Mehrabian, che ha stabilito una cosa molto importante e intelligente: ovvero che la comunicazione si articola in tre canali molto grandi. Il primo canale è la comunicazione scritta, il secondo è la comunicazione visiva e il terzo è il modo in cui comunichiamo. Facebook, come social, è andato a riempire il canale scritto, ovvero le parole, Instagram aveva già riempito la parte visiva, ovvero la comunicazione meta verbale, e le immagini, ciò che noi vediamo. Clubhouse è andata invece a riempire le parole, soprattutto per come sono dette. Quindi si focalizza non su ciò che noi scriviamo ma su come lo diciamo, sul tono e sull’intenzione di ciò che vogliamo esprimere. Ha coperto un buco di mercato e lo ha fatto con la voce, mossa molto cool e intelligente.

E proprio relativamente a questo: quale è l’approccio che i brand invece stanno avendo su Clubhouse?

I brand vanno molto piano. Questo perché Clubhouse, a differenza degli altri social, ha una policy molto rigida. Non mette solamente un limite di iscrizione agli utenti legato all’età ma ha introdotto anche una serie di divieti per i brand stessi, soprattutto all’inizio. Ha impedito loro di fare e farsi pubblicità. Poi chiaramente si è adeguato alle richieste delle aziende che volevano capire come funzionasse e, tuttora, questo rapporto è in continua evoluzione. 

Come possono fare, dunque, i brand che desiderano farsi conoscere e sfruttare questa piattaforma?

Per risponderti alla prima domanda devo fare una premessa: oggi i brand non possono avere ancora un profilo ufficiale su Clubhouse ma possono invece creare dei club. Ikea è stato il primo, timidamente, a entrare in questo meccanismo creando room e aggirando quindi questo ostacolo. Alcune stanze, chiamate “Ikea, come ti struttura un bagno “per esempio, sono servite proprio a questo scopo. In linea di massima però l’ingresso dei brand è stato molto timido.

In Italia soprattutto non c’è ancora una realtà ben definita. Si fa affidamento spesso sulle notizie provenienti dall’America, dove c’è una Agora che informa passo dopo passo su aspetti legati alla monetizzazione, che dovrebbe partire attraverso tips per club e rooms a seconda del gradimento dei content.

Entrando invece nel merito della seconda questione mi viene da dire che i marchi, mancando le immagini su Clubhouse, dovranno puntare soprattutto sullo storytelling. I brand, dovendo compiere una narrazione solo audio non potranno più imbrogliare. Io, naturalmente, da storyteller e da persona che lavora con le parole, dico: “Viva Dio”!

Un aspetto correlato a questo è che, per attirare l’attenzione degli ascoltatori, le aziende dovranno presentare proposte e prodotti di qualità. Si spera che emerga finalmente il talento delle persone, dei professionisti che lavorano col brand. Le aziende inoltre dovranno essere brave non a fare operazioni di marketing vere e proprie ma dovranno aggirare il marketing stesso. Se voglio vendere viaggi, dovrò far sognare; se voglio vendere un panino, che cosa riporto alla mente? Farò ricordare la nonna che preparava la merenda con pane e mortadella, la fragranza del pane croccante…

Ti descrivo inoltre come mi prefiguro una corretta presenza delle aziende su Clubhouse. Per farlo cito un mio club, “il Club Napoli”, nel quale parliamo di cucina napoletana. All’interno del club invitiamo spesso ospiti: una volta abbiamo invitato per esempio degli esponenti del consorzio del pastificio di Gragnano che ci hanno spiegato alcuni segreti della pasta simbolo di questo luogo o un’altra volta era presente uno chef dei Monsù, la cucina più antica del mondo nata proprio a Napoli. Io mi immagino quindi la presenza di queste room tematiche nelle quali non si dica da parte del brand “io sono Cirio” o “io sono Barilla”, in quanto la policy per ora lo vieta, ma penso a un padrone di casa che ha scritto nella bio chi è e che l’utente la vada a vedere e capisca chi sia. Dal mio esempio si evince anche come i brand debbano essere attenti nella scelta di ospiti e che questi chiaramente siano esponenti del macrocosmo del quale vogliono a parlare e che possano portare valore alla Room. Non bisogna infine dimenticare che Clubhouse può costituire anche uno specchietto per le allodole in quanto il brand carpisce l’attenzione e spinge a cercare il suo marchio anche fuori, ricordando che sulle piattaforme di podcast potrai ascoltare i loro contenuti o trovarlo nel suo negozio o sul sito.

Quali sono i rischi delle aziende che parlano su Clubhouse?

Un rischio di una azienda, oltre alla dispersione dopo il breve periodo, è sicuramente l’ego. Come dice una delle leggi della comunicazione un marchio deve portare il suo ospite dove vuole il brand stesso facendogli però capire però che è stato lui ad arrivarci spontaneamente, quindi attraverso la persuasione. Se invece il brand parlerà troppo di sé stesso, potrebbe creare l’effetto di svuotamento della room, in quanto la policy, molto severa, lo vieta. Se invece ci sarà un buon storytelling e si farà un passo indietro sull’ego, se il brand riuscirà a non essere imbonitore ma a portare valore e ad arricchire di nozioni nuove le persone della room, allora le probabilità di successo saranno alte e le persone ospiti saranno portate automaticamente, anche loro sponte, ad andare a vedere il prodotto pubblicizzato. Se invece i marchi cercheranno di vendere qualcosa in modo diretto, ci sarà lo svuotamento perché, ricordiamoci, Clubhouse è un social e io da utente non sto entrando in un negozio per comprare. L’utente entra nel social per passare il suo tempo libero e, quindi, la prima cosa che cerca è un arricchimento. Dopodiché, si può decidere spontaneamente di entrare, per esempio nel club di Podcastory, in quello di Ikea, o di qualsiasi altro brand, per guardare le offerte dei brand stessi, ma qui il discorso è diverso. Entra in gioco la persuasione, l’utente è persuaso da quello che gli ha dato Ikea o un’azienda qualunque e quindi va in seconda battuta a visitarla. 

Qual è secondo te il futuro di questa piattaforma? 

Sicuramente attualmente c’è una curva tendente a salire perché costituisce una novità e naturalmente, come ogni novità, viene abbracciata dalle persone. Nelle room si dice che, con un ritorno alla normalità, è possibile che possa avere invece un periodo di calo in fatto di download, navigazione e tempo passato nelle rooms. Secondo il mio parere ci potrebbe anche essere una curva fisiologica discendente tra 6 mesi, seguita però da una ricrescita data dall’ingresso di Android. Clubhouse dovrà fare attenzione in futuro anche ai competitor Spaces di Twitter. Attualmente però è sempre il primo in questo settore.

La mia previsione su Clubhouse è condizionata anche dalla mia esperienza su questo social, che è assolutamente positiva: da quando sono sulla piattaforma sto imparando infatti un sacco di cose. Io modero qualche volta delle room e in queste occasioni sto apprendendo moltissimo dai partecipanti che , molto spesso, hanno un livello di cultura alto.

Parola d’ordine: mantenere alta la qualità

Ricollegandomi al discorso fatto in precedenza penso che, se la qualità e il valore continueranno ad esserci su Clubhouse, non vedo perchè, alla fine della pandemia, gli utenti non dovrebbero più frequentarla. Se infatti vengo arricchita e creo valore su Clubhouse, continuerò a rimanerci. Per farti un esempio, le persone, da quando c’è Clubhouse, non ascoltano più la radio o comunque la ascoltano meno in quanto Clubhouse offre un ascolto attivo, si può partecipare e dire la propria opinione. Le persone vogliono essere ascoltate, hanno bisogno di storie. Clubhouse rappresenta il ritorno alle radio libere degli anni ’70, è veramente una grandissima cosa. La discesa della piattaforma ci sarà perchè è un qualcosa di fisiologico, perché ora è una novità, ma se Clubhouse continuerà ad apportare valore nella vita delle persone, anche con i brand che potrebbero fare la differenza, continuerà come ogni social, dei quali spesso annunciano la morte, con una nuova vita. Sempre che la Policy lo permetta: ma perché non dovrebbe?

Fabiana Sera ci ha illustrato le potenzialità di Clubhouse soffermandosi sulle possibilità dei brand di presentare un proprio lato diverso da quello istituzionale. Ci chiediamo se davvero i marchi sapranno cogliere questa opportunità, in un’era in cui sono sempre più importanti l’empatia e la capacità di prevedere, e dunque accontentare, le esigenze degli utenti.

Questo mood potrebbe rappresentare il punto di svolta per questa piattaforma, ancora tutta da scoprire, anche in previsione, e qui siamo d’accordo con Fabiana, di un fisiologico calo di ascoltatori. Del resto, un periodo di assestamento dopo l’entusiasmo iniziale è pressoché inevitabile, ma con le dovute correzioni crediamo che Clubhouse possa sopravvivere alla grande.

Senza dimenticare la qualità e il livello alto, che non dovranno mai abbassarsi.